Il giudice non può annullare una delibera condominiale per motivi diversi da quelli dedotti in giudizio
di Marina Crisafi – Il giudice non può annullare una delibera condominiale per motivi diversi da quelli inizialmente dedotti. In sostanza, nel valutare se dichiarare (o meno) l’invalidità della volontà del condominio il giudice deve sempre attenersi alla corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. senza poter addurre ulteriori motivazioni. È quanto ha chiarito la Cassazione, con la recente sentenza n. 16675/2018.
La vicenda
Nella vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte, un condomino impugnava una delibera dell’assemblea per irregolare convocazione della stessa, vizi di costituzione e lesioni della proprietà. Nello specifico, oggetto delle doglianze erano due punti dell’ordine del giorno (e della delibera) attinenti all’asfaltatura del piano di calpestio del cortile condominiale, all’installazione di un cancello di ingresso e alle modalità di utilizzo delle parti comuni.
Il condominio si costituiva in giudizio, contestando le tesi avversarie e chiedendo in via riconvenzionale la condanna del condomino al pagamento dell’importo risultante dal riparto spese approvato dalla stessa assemblea.
Il tribunale accoglieva le reciproche domande, annullando le delibere impugnate e condannando il condomino al pagamento delle spese deliberate dall’assemblea. In appello, però, il giudice di merito ribaltava la decisione, accogliendo il gravame e respingendo la riconvenzionale del condominio.
Per la Corte d’Appello, pur essendo vero che l’impugnazione era stata all’inizio incentrata su alcune questioni, i vizi di legittimità denunciati riguardanti in pratica le regole generali per la corretta formazione della volontà assembleare, si estendevano a tutte le delibere adottate nella medesima seduta, travolgendole, a prescindere dalla specifica impugnazione.
Da qui, il ricorso del condominio innanzi al Palazzaccio, basato sulla contestazione della violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del giudice di secondo grado.
La Cassazione e i vizi delle delibere condominiali
Per la sesta sezione civile, in effetti, la sentenza d’appello è errata.
Sulla base della sistemazione data alla questione dell’invalidità delle delibere condominiali dalle Sezioni Unite (cfr. n. 4806/2005), premettono i giudici di piazza Cavour, “debbono qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto”.
In ogni caso, la sussistenza di un vizio di annullabilità della delibera condominiale, precisano, “comporta la necessità di espressa e tempestiva domanda ‘ad hoc’ proposta dal condomino interessato nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c.”. Inoltre, aggiungono, l’assemblea, ancorchè venga redatto un unico verbale per l’intera adunanza, “pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione indicate nell’ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, con la conseguente astratta configurabilità di ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra delibera, e perciò non necessariamente comuni a tutte”.
Ogni delibera ha una causa petendi e il giudice deve attenersi all’art. 112 c.p.c.
Per cui, ogni domanda di declaratoria di invalidità di una determinata delibera dell’assemblea dei condomini si connota per la specifica esposizione dei fatti e delle collegate ragioni di diritti, ovvero per una propria “causa petendi”, che rende diversa, agli effetti degli artt. 183 e 345 c.p.c., la richiesta di annullamento di una delibera dell’assemblea per un motivo diverso da quello inizialmente dedotto in giudizio.
Pertanto, concludono gli Ermellini, ne consegue che “la domanda di declaratoria dell’invalidità di una delibera dell’assemblea dei condomini per un determinato motivo non consenta al giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), l’annullamento della medesima delibera per qualsiasi altra ragione attinente a quella questione in discussione indicata nell’ordine del giorno, né l’annullamento delle altre delibere adottate nella stessa adunanza, sia pure per la stessa ragione esplicitata dall’attore con riferimento alla deliberazione specificamente impugnata”. La sentenza perciò va cassata e la parola passa al giudice del rinvio.
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