Per la validità delle delibere, ricorda la Cassazione, l’art. 1136 c.c. novellato dalla riforma, stabilisce che il quorum deliberativo deve far riferimento alla maggioranza degli intervenuti per facilitare la formazione della volontà collegiale
Ai fini della validità delle delibere condominiali serve la maggioranza degli intervenuti, come stabilisce l’art. 1136 c.c., novellato dalla riforma del 2012, “per facilitare la formazione della volontà collegiale”. Così la sesta sezione civile della Cassazione, con ordinanza n. 28629/2022, si è espressa in una vicenda condominiale relativa all’interpretazione dell’art. 1136, comma 3, c.c. sul quorum deliberativo dell’assemblea in seconda convocazione.
La vicenda
Nello specifico, una condomina impugnava una delibera assembleare ma in primo grado il tribunale dichiarava cessata la materia del contendere in quanto il condominio sul punto oggetto di impugnazione aveva ratificato la decisione con una successiva deliberazione.
La condomina ricorreva quindi in appello per violazione dell’art. 1136 c.c., per il mancato raggiungimento del voto favorevole della maggioranza numerica dei condomini presenti in assemblea, essendo stata la delibera de qua approvata soltanto da due condomini anziché dai tre necessari.
Anche il giudice di secondo grado rigettava ritenendo il motivo palesemente infondato, giacché, condividendo il principio espresso dalla Cassazione, “la regola posta dall’art. 1136, 3° comma, c.c. – secondo la quale la deliberazione dell’assemblea condominiale in seconda convocazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio – si deve intendere nel senso che coloro che abbiano votato contro l’approvazione non devono rappresentare un valore proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore. Infatti, la disciplina dell’art. 1136 c.c. privilegia il criterio della maggioranza del valore dell’edificio quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali”.
La donna insiste e adisce quindi la Cassazione lamentando violazione dell’art. 1136 comma 3 c.c., circa il quorum deliberativo numerico necessario per una valida deliberazione.
La decisione
Sul punto, la S.C. le dà ragione. La sentenza impugnata, invero, affermano gli Ermellini, ha giudicato della validità della deliberazione assembleare sulla base del testo dell’art. 1136, comma 3, c.c. vigente prima della modifica introdotta dalla legge n. 220 del 2012.
È noto come l’art. 1136, comma 3, c.c. sia stato novellato riforma del 2012, in quanto la previgente formulazione imponeva per la validità della delibera approvata dall’assemblea di seconda convocazione un numero di voti che rappresentasse sempre il terzo dei partecipanti e almeno un terzo del valore dell’edificio. La riforma, invece, proseguono i giudici, “ha stabilito che l’intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell’edificio e un terzo dei partecipanti al condominio è condizione per la regolare costituzione dell’assemblea, mentre, proprio per facilitare la formazione della volontà collegiale, il quorum deliberativo deve far riferimento alla maggioranza degli ‘intervenuti’”.
Una scelta quella del legislatore, sostiene la Suprema Corte, “affatto irragionevole” né lesiva della proprietà privata, “in quanto la soluzione sempre seguita dall’art. 1136 c.c. (già dall’art. 24 del R.D. 15 gennaio 1934, così differenziandosi dal Codice civile del 1865) è stata volta a contemperare le ragioni dominicali con la tutela delle volontà individuali dei condomini, che sarebbero altrimenti soverchiate nelle situazioni in cui vi è una evidente sproporzione dei valori millesimali spettanti ai singoli partecipanti”.
Da qui l’accoglimento del ricorso e la parola passa al giudice del rinvio.
Scarica il testo dell’ordinanza n. 28629/2022 della VI° Sezione Civile della Cassazione