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Il rendiconto condominiale dopo la riforma del condominio

Cosa è cambiato dopo la riforma della legge 220 del 2012.

Avv. Pier Paolo Bosso

Con la legge 220/2012 (Legge di riforma del condomino) è stato introdotto l’articolo 1130 bis del codice civile, dedicato specificatamente al rendiconto condominiale, che deve poi essere sottoposto all’approvazione dell’assemblea, convocata per l’approvazione entro 180 giorni dalla chiusura della gestione (art. 1130 cod. civ.).

Il rendiconto condominiale deve contenere le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentire l’immediata verifica.

Si compone di tre elementi:

  1. registro di contabilità: in cui vanno annotate tutte le voci in entrata e uscita in ordine cronologico e seguendo un metodo analitico per la rilevazione contabile degli eventi di gestione economica rilevanti;
  2. riepilogo finanziario: che costituisce lo stato patrimoniale del condominio, in quanto rappresenta una “fotografia” della situazione finanziaria del condominio, suddivisa in entrate e uscite, crediti e debiti ed eventuali fondi di riserva;
  3. a nota sintetica esplicativa: una relazione redatta dall’amministratore allo scopo di descrivere sinteticamente l’intera gestione annuale, dando conto non solo dei rapporti in corso ma anche delle questioni pendenti. La nota ha la finalità di rendere intellegibile la documentazione contabile annuale.

Il rendiconto deve dunque specificare le voci di entrata e di uscita, la situazione patrimoniale del condominio, i fondi disponibili e le eventuali riserve, in modo da consentire l’immediata verifica.

Il riferimento alle voci di entrata e di uscita, significa, dunque, che il rendiconto deve documentare gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto ai movimenti di numerario ed alle relative manifestazioni finanziarie, nonché ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, con indicazione nella nota sintetica esplicativa della gestione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti, avendo qui riguardo al risultato economico dell’esercizio annuale, che è determinato dalla differenza tra ricavi e costi maturati, e non, dunque, dal solo conto di cassa (Cassazione, sentenza n. 33038 del 2018).

La giurisprudenza si è pronunciata spesso, indicando il criterio di cassa o di competenza, ma l’orientamento da ritenersi più corretto è il criterio misto, cioè sia di cassa che di competenza secondo le previsioni individuate ad esempio dal Tribunale di Udine, che con sentenza n. 1014/2019 ha stabilito che affermare che il rendiconto condominiale debba essere improntato solo al principio di cassa significa non aver compreso a pieno la portata della norma di cui all’art. 1130 bis cod. civ. introdotta dal legislatore con la novella del 2012.

La norma non parla di bilancio, ma di rendiconto. Sebbene sia prassi per gli addetti ai lavori utilizzare nella materia condominiale espressioni quali bilancio preventivo e bilancio consuntivo, in realtà sussistono differenze tra il rendiconto dell’amministratore di condominio ed il bilancio delle società, con assai limitati punti di analogia.

Il rendiconto del condominio, più che con il bilancio delle società, presenta maggiori affinità con altre forme di rendiconto quali il rendiconto del mandatario (art. 1713 cod. civ.), dell’erede beneficiato e del curatore dell’eredità giacente (art. 531  cod. civ.), del tutore e delle altre figure affini (art. 385 e seguenti del cod. civ.) ed, entro certi limiti, con il conto della gestione del curatore fallimentare.

Analogamente a tale figura, anche l’amministratore gestisce somme di denaro, riscuote crediti, paga debiti non suoi, ma del condominio che amministra. Sarebbe più corretto parlare in materia condominiale di “fascicolo di rendicontazione” in quanto il rendiconto deve essere improntato ad un criterio misto, sia di cassa che di competenza. Ed infatti, il registro di contabilità è e deve essere improntato al criterio di cassa in quanto vi sono annotati in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell’effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita, rappresentando, quindi, il dettaglio analitico di quanto riportato in sintesi nel conto flussi.

La situazione patrimoniale richiesta dall’art. 1130 bis  cod. civ. – e quindi, il rendiconto generale – dev’essere, invece, redatta secondo il criterio di competenza, in quanto tra le attività, dovranno essere indicati, ad esempio, i crediti verso i condomini, i crediti verso i fornitori (da annotare secondo la competenza), le disponibilità liquide, mentre tra le passività dovranno essere indicati i debiti verso i condòmini, i debiti verso i terzi, i fondi accantonati, le riserve. Orientamento condiviso anche dalla Corte di Appello di Milano (con sentenza n. 307/2020).

Alla luce di tali principi, l’art. 1130 bis  c.c. va interpretato non già in un’ottica meramente formalistica, bensì in chiave sostanziale, valorizzando, cioè, l’effettiva idoneità dei documenti integranti il complessivo rendiconto condominiale a garantire, ai condomini, il diritto alla trasparenza e alla comprensibilità della gestione condominiale.

Il rendiconto, dunque, deve essere redatto in maniera tale da consentire l’immediata verifica del suo contenuto ed imprescindibile a tal fine è l’allegazione dei documenti che lo compongono e che di esso devono fare parte obbligatoriamente in quanto qualora, come chiarito anche dalla giurisprudenza di legittimità, esso ne sia privo ne consegue l’annullamento della delibera che lo ha approvato (Cassazione, sent. 33038/2018; Trib. Roma, sent. 03.04.2023, n. 5342).