La Cassazione ricorda che bastano impianti e servizi comuni a più edifici per dar luogo a supercondominio senza che sia necessaria una manifestazione di volontà o una delibera dell’assemblea
di Marina Crisafi – Il supercondominio viene ad esistere “ipso iure et facto” senza che sia necessaria un’apposita manifestazione di volontà o una delibera dell’assemblea. A chiarirlo è la Cassazione, con la recente ordinanza n. 27084/2018, ribadendo che si è in presenza di un supercondominio allorché singoli edifici abbiano in comune impianti e servizi.
La vicenda
Un complesso residenziale, in persona dell’amministratore unico, agiva in giudizio chiedendo e ottenendo un provvedimento avverso uno dei suoi partecipanti, lamentando il mancato pagamento delle spese di gestione.
Il tribunale di Tivoli, in riforma della sentenza del giudice di pace, accoglieva però l’appello del condomino e revocava il decreto ingiuntivo sostenendo mancasse la prova dell’esistenza di una comunione che legittimasse il pagamento delle spese di gestione.
La società cooperativa ricorreva pertanto al Palazzaccio, sostenendo che non poteva mettersi in dubbio che il comprensorio realizzato costituisse un supercondominio, che si realizza “allorché l’originario costruttore del complesso residenziale (…) costruisca su un suolo comune, o proceda con il frazionamento di un’area comune, militando in tal senso gli art. 818 e segg., 1477, 1117, 1117 bis, cod. civ.”.
Per la Cassazione, la società ha ragione.
Supercondominio: non serve una manifestazione di volontà
È principio fermo, cui la corte vuole dare continuità, scrivono infatti gli Ermellini, “l’affermazione secondo la quale al pari del condominio negli edifici, regolato dagli art. 1117 e segg. cod. civ., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ‘ipso iure et facto’, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, ‘pro quota’, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati (cfr., tra le altre, Cass. n. 17332/2011).
Inoltre, è stato ulteriormente chiarito, precisano da piazza Cavour che “non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, venendo il medesimo in essere ‘ipso iure et facto’, se il titolo o il regolamento condominiale non dispongono altrimenti”.
Il supercondominio, in sostanza, precisa la seconda sezione civile, è “una fattispecie legale, in cui una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, sono ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall’esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale di accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, ecc.) in rapporto di accessorietà con i fabbricati, cui si applicano in pieno le norme sul condominio, anziché quelle sulla comunione”.
Per cui, la sentenza è cassata e la parola passa al giudice del rinvio.
Vai all’ordinanza n. 27084/2018 della II sezione Civile della Corte di Cassazione